Italo

Dom 8/2 ore 15.00 17.00

Un film di Alessia Scarso. Con Marco Bocci, Elena Radonicich, Barbara Tabita, Vincenzo Lauretta, Martina Antoci.
Drammatico, durata 100 min. – Italia 2014.

“Un esordio che ha una certa grazia e una vena di umorismo gentile”

Scicli, Sicilia, 2009. Un’ordinanza comunale ha bandito i cani randagi dal paese, ma un golden retriever sfida l’ordinanza e comincia a frequentare le stradine locali, affezionandosi soprattutto ad un bambino di dieci anni, Meno, figlio del sindaco Antonio Bianco. A poco a poco Italo, come verrà soprannominato il cane, entrerà a far parte della vita della comunità, accompagnando i turisti in visita, assistendo in chiesa alla messa e giocando con i bambini del paese. La sua presenza addolcirà le vite di tutti e farà da cupido fra il padre di Meno, rimasto vedovo, e la maestrina locale, così come fra Meno e una sua compagna di giochi.
Basato su una storia vera, Italo è il lungometraggio di esordio di un team tutto al femminile, e tutto nato nel 1979: la regista Alessia Scarso, diplomata in montaggio al Centro sperimentale di cinematografia, la sceneggiatrice Coralla Ciccolini, l’editor Isabella Aguilar e la produttrice Roberta Trovato. L’operazione ha una certa grazia e una vena di umorismo gentile, ma manca di compattezza narrativa e tende a perdersi per i meandri della storia, come Italo fra i vicoli di Scicli.
La narrazione filmica presenta spunti interessanti, soprattutto nel montaggio, veloce e ritmato, e nelle tecniche di ripresa, che mostrano il coraggio artistico della Scarso: degna di nota soprattutto la scena in cui il sindaco e la maestrina appianano le loro differenze e cedono alla reciproca attrazione in una serata senza parole (per noi spettatori) ma ricca di segnali. Purtroppo la sceneggiatura è poco incisiva, operando (contrariamente al montaggio) poche scelte forti e, soprattutto verso il finale, mettendo troppa carne al fuoco. Il tono è quello della fiaba, con tanto di voce narrante fuori campo di Leo Gullotta, che però compare solo all’inizio e in alcuni punti della trama, dimostrando ancora una volta una certa incoerenza narrativa. L’auspicio è quello che la regista e il suo team continuino a raccontare le loro fiabe raggiungendo una maggiore coesione e dando spazio a quel registro gradevolmente surreale che sembra essere la caratteristica identitaria della Scarso.
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