Everest senza ossigeno

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Mer 12/4 ore 20.30 VOS

Un film di Jesper Ærø.
Documentario, durata 81 min. – Danimarca 2020.

“Il racconto per immagini di un’ossessione pericolosa. E sfiancante.”

Rasmus Kragh si è sempre spinto al limite: corse, maratone, arrampicate, ogni prova che potesse portare all’estremo il suo fisico e la sua mente, lui la inseguiva. Fino a quando sembra prevalere una pratica migliore delle altre con l’arrampicata, la scalata, e come unica immagine in fondo a questo periplo psico-fisico la cima più alta del mondo, l’Everest. Ma Rasmus non è uno che si rende le cose facili, così il suo obiettivo è sì arrivare agli 8.848 metri, ma senza usare le maschere di ossigeno. Un’impresa già fatta in passato, ma un’impresa sempre e comunque rischiosa, quasi mortale. Lo sa bene lui, lo sanno bene i suoi genitori, il fratello Jesper, l’ex-fidanzata Liva, tutti insieme coinvolti loro malgrado in questo progetto avventuroso che presto si trasforma in un viaggio nell’ego smisurato e solitario di Rasmus…
Cosa c’è dentro questo Everest senza ossigeno? Quali immagini lo popolano, lo infestano, lo condannano o assolvono? Certo, c’è Rasmus che si racconta con davanti una cinepresa e dietro uno sfondo neutro; poi le talking heads dei familiari e dei compagni di impresa; infine le riprese fatta da lui stesso, sequenze di repertorio, spezzoni di apparizioni televisive. Un’estetica delle forme messa in piedi senza il minimo sforzo, che però in alcuni passaggi mette in moto l’estetica dello sguardo.
E non si tratta di quello che dovrebbe stare al centro della nostra visione – lo sforzo ripetitivo e alienante degli allenamenti, le panoramiche a tutto campo del cielo sotto l’Himalaya, la tensione e il brivido per l’impresa al limite -, no, niente di tutto questo afferra il nostro coinvolgimento e la nostra compassione. L’accumulo preciso e ordinato delle immagini ad un certo punto ci fa guardare oltre, ad altre riproduzioni e icone, forme che sfuggono al reame di necessità dell’impresa di Rasmus e che insieme la contengono e la risolvono.
Il primo momento – quello che contiene il tutto – è quando viene mostrata la celebre foto scattata da Nirmal Purja che mostra una fila di decine di scalatori fermi ad aspettare il loro turno per mettere piede sulla vetta dell’Everest. È il 2019, il terzo tentativo per Rasmus dopo i fallimenti del 2017 e del 2018, in un anno in cui è l’unico, assieme al cileno Juan Pablo Mohr, a tentare di arrivare in cima senza l’utilizzo dell’ossigeno. La foto di Purja ferma in una composizione estetica esemplare – e quindi ancora più attraente – quello che è diventato arrampicarsi sulla catena montuosa più alta al mondo: un business turistico.
Solo per il 2019, infatti, l’Himalayan Database ha registrato 885 arrivi in vetta, di cui 644 dal Nepal e 241 dal Tibet. I morti sono stati 11. Quei numeri, quelle persone, sono gli ingorghi che Rasmus incontra quando cerca di scendere dalla vetta e deve farsi strada, stremato e senza ossigeno, agganciandosi alle funi degli altri e sporgendosi nell’abisso; è lo sciame di luci notturne che registra con la videocamera prima di salire in cima, perché adesso il pericolo maggiore non sono il vento o i crepacci ma l’affollamento delle genti; è il corpo immerso nel buio, disteso in mezzo al niente, solitario, che si trova davanti nel 2017 al tempo del suo primo tentativo.
L’altro passaggio – quello che risolve il tutto – è in coda al documentario, quasi una postilla vergata a mano di fretta e all’ultimo perché c’era qualcosa che non tornava, cioè quando Rasmus racconta che alla madre è stata diagnosticata una forma grave di SLA. Lì tutto cambia, come non potrebbe, e anche il racconto per immagini di Rasmus, per Rasmus e su Rasmus (il sottotitolo inglese è The Ultimate Egotrip), accoglie dentro le sue possibilità anche quella di un’altra figura.
Una figura che prima abbiamo visto defilata e silenziosa – come purtroppo diventerà dopo la SLA, perdendo quasi subito l’uso della parola -, e che adesso occupa insieme al figlio il centro della scena, posizione che prima nessuno era riuscito a strappare a Rasmus. Così l’immagine si apre e accoglie altro-da-sé, cioè altro da Rasmus, e per un breve istante cogliamo da fuori questo giovane danese ossessionato solo e soltanto dalla sua impresa, che ha dimenticato ogni cosa, ogni altro sguardo, ma non quello della madre. E così finisce la sua storia. (MYmovies)