Le Week-End

Gio 9/10 ore 20.30
Ven 10/10 ore 20.30
Cineforum, ingresso anche con biglietto.

Un film di Roger Michell. Con Jim Broadbent, Lindsay Duncan, Jeff Goldblum, Olly Alexander, Judith Davis.

Commedia, durata 93 min. – USA 2013.

“Il magnifico ritratto di una matura coppia di insegnanti inglesi che trascorre un weekend a Parigi”

Il severo critico francese Georges Sadoul, a proposito di Truffaut, disse che Antoine Doinel era ricondotto «all’alveo tranquillo della vita piccolo-borghese, perfettamente integrato e soddisfatto, e esaltato dal regista in questa sua scelta di mediocrità»; è un’affermazione che ho sempre trovato discutibile, e tuttavia se ne può ricavare una riflessione che, a conti fatti, coincide con Truffaut, con la Nouvelle Vague tutta e, infine, con questo Le week-end, che della Nouvelle Vague si dichiara esplicitamente debitore.
Ciò che va allora riconosciuto all’intuizione di Sadoul è di aver collocato Antoine nell’atmosfera di una sana e quieta quotidianità a cui gli uomini tendono, con l’ambizione di sistemarsi, di accasarsi, di godere i frutti del proprio lavoro; occorre però in verità discostarsi dalla posizione presa dallo storico, che risulterebbe superficiale ad una prima lettura, magari senza un’adeguata conoscenza dei film in questione: Antoine Doinel infatti, nonostante i suoi effettivi tentativi di mescolarsi nella società ordinata e benestante degli adulti, non solo divorzierà dalla donna che ha amato fin dalla prima gioventù, ma non riuscirà a raggiungere la stabilità desiderata e concluderà le sue avventure con un nuovo rapporto amoroso nel quale il regista insinua il sentimento della precarietà.
Eppure, e ciò va colto in questi film e ciò diventa correlativo del movimento cinematografico francese – e di chi oggi se ne ricorda -, la felicità va ricercata anche in piccole crepe dalle quali può scaturire una visione nuova e alternativa dell’esistenza: proprio perché instabile e imprevedibile, la vita chiede di essere vissuta, con la follia e la leggerezza necessarie.
Ed ecco che oggi, a distanza di una cinquantina d’anni da capolavori come Jules e Jim (Jules et Jim, François Truffaut, 1962) o Bande à part (Jean-Luc Godard, 1964), quegli stessi protagonisti si ripresentano sotto le spoglie di due coniugi inglesi in vacanza a Parigi: invecchiati, guardano a se stessi e al proprio passato con malinconia, nella sensazione dell’impossibilità di ricalcare i passi del lontano amore e delle passioni giovanili, artistiche e politiche, di chi crebbe attorno a quel ’68 che tutto investì, compreso il cinema.
Ma, nonostante un passo claudicante e sconsolato, il film solleva lo sguardo dei suoi protagonisti: abbandonata ogni retorica, i vecchi antieroi rivivono infatti la loro nostalgia dipingendola con colori freschi e vivaci, che vibrano nel confronto col presente e nel contempo si adattano ad esso: lo fanno però, per tornare polemicamente a Sadoul, con uno spirito libero e disinvolto, sorridendo con felice incoscienza all’ignoto.
Se la fuga dal ristorante dopo aver appreso l’ammontare del conto risulta un po’ rocambolesca, contemporaneamente essa riporta alle affannose quanto euforiche corse dei due film succitati; altrettanto fa il triangolo d’amore e d’amicizia, e, questa volta come richiamo diretto, altrettanto fa il finale, suggello che sorride con affetto e stima alla famosa scena della “Madison dance” del film di Godard, che tra l’altro i due protagonisti rivedono nella televisione dell’albergo: lì rinasce il sentimento, lì il sogno assume i contorni sfumati della realtà, impalpabili ma intensi, orgogliosamente irreali e gioiosamente evanescenti; lì il film si conclude e trova la giusta impressione interpretativa.
Aleggia insomma nel film di Michell, aiutato dalla melodiosa sceneggiatura di Hanif Kureishi, quel refolo intemperante che, da Parigi, mosse e spanse le “nuove onde” del cinema di tutto il mondo a partire dalla fine degli anni ’50.
E che ora si frange sul presente, con delicato e composto rispetto, ad osservare quanto siamo cambiati e quanto le cose che restano possano mutare ancora una volta per una ostinata, leggermente beffarda e vitale rivoluzione.
Sui titoli di coda scorre Pink moon di Nick Drake: un flebile sole autunnale “in armonia con la propria solitudine”, e che oggi, quando la città scioglie la sua luce nel silenzio della sera, sentiamo di dover tornare a condividere con qualcuno.
Marco Sottoriva