Daratt

Mar 23/9 ore 20.30

Un film di Mahamat-Saleh Haroun. Con Ali Barkai, Youssouf Djoro, Aziza Hisseine, Djibril Ibrahim, Fatimé Hadje, Khayar Oumar Defallah.

Drammatico, durata 96 min. – Ciad, Francia, Belgio, Austria 2006.

“Un film sincero, semplice, prezioso sul dilemma tra vendetta e perdono”

 

Ciad, 2006. Dopo l’amnistia accordata a tutti criminali di guerra, Atim, un adolescente orfano di padre, viene incaricato dal nonno di vendicare il suo assassinio. Giunto a N’Djamena scopre che l’ex criminale gestisce una panetteria e ha sposato una giovane donna. Nassara, ignorando le reali intenzioni del ragazzo, lo accoglie come garzone nella sua panetteria per insegnargli il mestiere del fornaio. In un crescendo di silenzi e sentimenti inespressi la relazione tra i due uomini evolverà fino a esplodere in un drammatico confronto finale. Nel deserto e sotto un solo accecante, Atim deciderà il destino di Nassara e il proprio.
Il regista africano Mahamat-Saleh Haroun, sopravvissuto alla guerra civile in Ciad, gira un film pervaso da temi universali, odio e amore, guerra e pace, vendetta e perdono, con l’impegno di chi vuole scuotere e denunciare. Nel suo film, tragico ed essenziale, si muovono due uomini in cerca di vendetta o di redenzione dopo la “stagione secca”, il daratt del titolo, che segue quella delle piogge. Nell’intervallo meteorologico che va da maggio a novembre si svolge il percorso formativo e vendicativo di un giovane uomo in cerca di giustizia. Quella negata dall’amnistia, un’ipotesi assurda di pacificazione che ha dimenticato di compensare la perdita di 40.000 vite umane, provocando il desiderio di vendetta privata. Atim e Nassara sono il prodotto speculare, umano e doloroso del Ciad insanguinato di Hissène Habré: il ragazzo ha ereditato dal nonno un lutto da vendicare e una tradizione da onorare, il panettiere, che affamava e annullava letteralmente chi adesso sfama e cresce col pane, è l’espressione incarnata di un’ingiustizia. Dentro immagini precise e assolate, il regista conduce la sua indagine politico-sociale e confronta fino allo scontro due ragioni impersonificate, quella dell’odio e quella del perdono, che non hanno voce ma soltanto immagini lente di momenti lirici e di violenza implosa. Daratt conduce lo spettatore a percorrere tragitti poco indagati, dentro un conflitto che è anche generazionale e che proprio per questo non sa parlarsi e comprendersi (l’afonìa di Nassara è in questo senso esemplare). Pluripremiato a Venezia, il film di Mahamat-Saleh Haroun supera le barriere dell’odio e interrompe, almeno nell’arte, la spirale della violenza.

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