Ven 23/2 ore 20.30
Sab 24/2 ore 20.30
Dom 25/2 ore 17.30
Lun 26/2 ore 20.30 VOS
Un film di Alexander Payne. Con Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph, Dominic Sessa, Carrie Preston.
Commedia, durata 133 min. – USA 2023.
Intelligente e caustico, un film dolce-amaro che abbraccia temi atemporali e ci invita al viaggio.
Paul Hunham è professore di storia in un college del New England. Rigido ed esigente detesta gli studenti mediocri, figli dei ricchi benefattori che aspettano il diploma senza sforzo. Alla vigilia delle vacanze di Natale è incaricato di vegliare e di sorvegliare i ragazzi che non hanno nessun posto dove andare. Tra loro, in altezza e spirito, spicca Angus Tully, allievo brillante e problematico ‘dimenticato’ dalla madre. Ostinati e diversamente inadeguati al mondo, Paul e Angus sono costretti a socializzare sotto lo sguardo paziente di Mary Lamb, cuoca della scuola che ha perso il suo unico figlio in Vietnam. Ma l’isolamento e il Natale accorceranno le distanze e li costringeranno a ‘rompere le righe’ e a ‘mettersi in riga’.
All’incrocio tra L’attimo fuggente e Breakfast Club, The Holdovers non ha niente di originale o sorprendente, sappiamo subito dove siamo ma sotto lo sguardo di Alexander Payne questo racconto di formazione, in bilico tra dramma e commedia, trova tutta la sua singolarità. Girato come un film degli anni Settanta, con quella grana speciale che non sembra mai finta o presa in prestito, è un racconto convenzionale ma inatteso quando parla di dolore e di privilegio, di abbandono e di fallimento, di trasmissione e della famiglia che ci scegliamo contro quella che ci impone la sorte. Paul Giamatti, attore di tutti i ‘secondi piani,’ coltiva l’arte dell’anonimato e rivendica ancora una volta un ruolo che gioca alla perfezione: valorizzare il partner.
Se in Rock of ages, per citarne uno, era Tom Cruise, è a Dominic Sessa che questa volta rende servizio. A immagine del suo personaggio, insegnante di professione, misantropo per natura, Giamatti non fa che ‘passare’ nel film servendo la replica a un giovane attore installato nel suo ruolo. Quasi praticassero discipline diverse, il primo è congelato nelle sue abitudini e dentro un décor innevato, incapace di muovere un passo fuori dalla scuola, il secondo incarna tutta la vita davanti e la smania di andare.
Al suo debutto, trova la complessa alchimia di quel passaggio segreto che ci emancipa dall’infanzia, è un grumo di ingenuità e profondità, forza e fragilità. Dominic Sessa possiede queste virtù in misura supremamente cinematografica, senza forzature, mentre cerca una via d’uscita. Si tratta di vivere per lui e il programma passerà per due momenti contrari, uno stanziale (la permanenza nel pensionato) e uno itinerante (il viaggio a Boston). A piedi o in macchina, il film non riserva nessuna sorpresa nel suo intrigo, definito soprattutto dalla delicatezza e dalla sensibilità della sua messa in scena.
Il suo grande pregio, insieme alle performance attoriali, sta nel modo in cui si appropria, fin nella forma, dell’intensità erratica dell’adolescenza. Qualificabile come “film di Natale”, lo è in un modo completamente differente da Love Actually o da Vacanze di Natale a Cortina. Un film hollywoodiano ne avrebbe fatto probabilmente un marshmallow, Payne fa diversamente mantenendosi in equilibrio tra malinconia ed esultanza, non negandosi mai le emozioni, che appaiono quando non le attendiamo più. È il celebre ‘montante emozionale’ di Alexander Payne o all’Alexander Payne, che si prende il tempo di introdurre, accompagnare e poi svelare progressivamente i suoi personaggi, il tempo di osservare come opera quel loro inaspettato incontro, aiutandoli e trasformandoli almeno un po’. Anche se tutto li oppone, saranno le rispettive zone d’ombra a nutrire una forma di complicità, perché si può essere soli per scelta e sentirsi comunque soli.
È quello che scoprono tre protagonisti eterogenei: un professore inflessibile, uno studente contestatore e una cuoca che sa il fatto suo (Da’Vine Joy Randolph trasforma il verbo in carne e dona un corpo pieno e stabile alla denuncia politica). Riuniti loro malgrado, in quel periodo dell’anno in cui brindisi e allegria sono la regola, formano un trio improbabile e una famiglia improbabile ‘ricomposta’ dall’eterno umanista del cinema americano.
Ode a ‘chi rimane indietro’, The Holdovers omaggia il cinema di Hal Ashby (Il padrone di casa, L’ultima corvé, Oltre il giardino), a cominciare dalla sua predilezione per gli antieroi e gli emarginati di ogni tipo, e presenta le caratteristiche formali di una produzione dell’epoca (il font dei titoli di testa, le dissolvenze incrociate, le zumate…). Ma non si tratta mai di un esercizio di stile, The Holdovers è più sottile e soprattutto più onesto. Sotto la superficie rétro, abbraccia temi atemporali (il conflitto generazionale, l’orrore della guerra, l’isolamento, il lutto, la depressione) e ci invita al viaggio. E noi partiamo, ridiamo, piangiamo, finiamo al tappeto e siamo felici. (MYmovies)